· 

Editoriale: E' tempo di riparlare di rifugi


L'Editoriale del

Presidente Generale CAI  Vincenzo Torti

sul numero di Febbraio di MONTAGNE 360.

 

L'articolo è abbastanza lungo ma merita di essere letto e compreso.

È tempo di rìparlare di rifugi

 

di Vincenzo Torti, Presidente Generale CAI

 

Carissimi Soci e Socie,

 

c'è un momento della nostra storia recente in cui lo spirito di solidarietà che pervade da sempre il Club Alpino Italiano si è manifestato in modo particolarmente significativo.

Mi riferisco a quando l'Assemblea dei Delegati di Varese (e, quindi noi tutti) nel 2006 ha deliberato la costituzione del Fondo di Solidarietà pro rifugi.

 

In tal modo, infatti, le Sezioni non proprietarie hanno scelto, a larghissima maggioranza, di dare un contributo tangibile alle Sezioni proprietarie, destinando parte della quota associativa alle manutenzioni e agli interventi sulle strutture, rendendo cosi ciascuno di noi partecipe di questa incessante opera.

 

Ma, per quanto siano state destinate a tale scopo quote rilevanti del bilancio sociale (per esempio nel 2015 € 1.028.653,79 ed € 937.251,86 nel 2016), i costi per mantenere in vita questo grande patrimonio immobiliare, gravano soprattutto sulle Sezioni proprietarie e impegnano quotidianamente le capacità e disponibilità volontaristiche dei loro soci e le relative risorse finanziarie.

 

Queste ultime a volte, ma non sempre, integrate da contributi regionali o provinciali.

A queste Sezioni è dovuto un ringraziamento non solo dai nostri Soci, ma anche da tutti coloro che, non soci, frequentano la montagna e i suoi rifugi.

 

Vi chiederete per quale motivo io abbia voluto sottolineare questi aspetti, tra l'altro sul finire di un anno in cui abbiamo dovuto registrare la perdita di due Soci che, al mondo dei rifugi hanno dato moltissimo: mi riferisco a Nino Maver, padre ed instancabile promotore del Fondo di Solidarietà di cui ho parlato, e ad Ettore Borsetti che si è sempre dedicato, con competenza e, da ultimo, in qualità di Vicepresidente generale, alle problematiche dei rifugi.

 

La ragione è semplice, ma occorre procedere con ordine.

 

Prima di tutto, dopo un periodo di lunga prorogatio della precedente, la cui funzionalità è stata assicurata prevalentemente dalla abnegazione di Samuele Manzoni, si è finalmente, insediata la nuova Commissione Centrale Rifugi e opere alpine sulla cui competenza facciamo grande affidamento.

 

Contemporaneamente si è tenuto un Corso di formazione per futuri gestori, organizzato dal CAl Lombardia a Lecco per la promozione, presso i giovani, di una “professione” che si inserisce a pieno titolo nel più vasto progetto culturale della montagna da vivere e da far vivere.

 

Ha destato, invece, un certo clamore l'articolo del Corriere della Sera del 22 dicembre 2016 che, col titolo “La rivolta dei rifugi", ha preso spunto dalla notizia della disdetta, da parte della Sezione di Milano, dei contratti relativi ai propri rifugi, benché in manifesta prospettiva di rinnovi, per dare spazio alla reazione di alcuni gestori, che hanno ipotizzato strane derive nel futuro delle strutture, con afermazioni del tipo: “vogliono trasformarli in alberghi".

 

Ho molto apprezzato la pacata, tempestiva e puntuale replica del Presidente Massirno Minotti, ampiamente ripresa dal medesimo articolo, che ribadisce la volontà della Sezione, ben lungi dal perseguire esasperate redditività, di condividere impegni pluriennali e progetti di salvaguardia e promozione della struttura e del territorio, nel rispetto costante del Codice etico adottato dal CAI, peraltro con l'impegno di reinvestire obbligatoriamente una parte del canone in migliorie.

 

E non è la prima volta che si profila, benché immotivatamente per quanto riguarda il CAI, il timore che i rifugi siano destinati a trasformarsi in alberghi in quota.

Già Claudio Bassetti, Presidente della Sezione SAT, proprietaria di ben 35 rifugi

(considerando come già risorto quel rifugio Tonini che un incendio ha distrutto a fine dicembre, ma per la cui ricostruzione la Sezione è già impegnata e ad essa non faremo mancare una concreta vicinanza),

ha dovuto prendere ferma posizione di fronte alle richieste avanzate da una nuova tipologia di utenti, incline a sollecitare servizi di livello sempre più elevato, quasi a voler costringere a modificare le strutture per adattarle a tali esigenze, ribadendo che “i rifugi non diventeranno Hotel", intendendosi “mantenere equilibrio, sobrietà e misura senza indulgere od assecondare mode o richieste estemporanee o rincorrere mercati senza futuro"

 

Il tutto coerentemente con la netta affermazione del Past-president Martini nella prefazione alla Guida ai Rifugi del CAI: “vogliamo mantenere quelli esistenti, ma siamo contrari a nuove opere, specialmente ai tentativi di trasformare i rifugi in alberghi di montagna”.

 

Gli fanno eco le note di Annibale Salsa in “Il rifugio di montagna come presidio territoriale":

«Tradizione ed innovazione sono concetti e pratiche che non possono venire disgiunti quando è in gioco un'identità in movimento, quella dei rifugi, appunto, che non può rinnegare una tradizione consolidata ma che, al tempo stesso, deve porre mano a forma. di rivisitazione progettuale e gestionale imposte dalla rapida evoluzione dei tempi.

Il rifugio, per sua stessa definizione e poiché le parole dovrebbero essere lo specchio delle cose, non può e non deve essere confuso con la struttura alberghiera».

 

Muovendo da tali premesse inequivoche, l'apertura di una pagina facebook dal titolo “Salviamo i rifugi” da parte di una scrittrice come Mirella Tenderini, la cui sensibilità e amore per la montagna sono a tutti noti, si presenta come lodevole ed allineata alla filosofia dei rifiigi del CAI, ma, nel contempo, non è condivisibile quando muove dalla premessa di una asserita “tendenza, a vendere o a trasformare i rifugi in alberghi - ristoranti a scopo puramente venale, con conseguenze gravi per i gestori che si trovano buttati fuori o messi comunque in difficoltà".

Devo dire che associare la posizione delle nostre Sezioni al concetto di venalità rammarica non poco, se solo si considera che le stesse si avvalgono del solo volontariato dei propri Soci e che non ce n'è una che, per tenere in vita il proprio rifugio, non abbia contratto debiti o impegnato, nel corso degli anni, la più parte delle proprie risorse.

Nè può accettarsi la posizione critica assunta dai rifugisti di cui al citato articolo i quali, è opportuno ricordario, sono pur sempre imprenditori che operano, loro sì e legittimamente, in un'ottica di profitto, se solo si considera l'altrettanto legittimo desiderio di una Sezione di innovare i criteri gestionali, peraltro in modo da condividersi con gli stessi gestori chìamati ad essere i veri protagonisti di questi presidi della montagna.

Ma, poiché, quando le intenzioni sono sincere, gli uomini di buona volontà trovano sempre adeguate soluzioni. non ho dubbio alcuno che i futuri rapporti tra Sezioni e rifugisti continueranno ad essere improntati da correttezza e costruttività nella consapevolezza della reciproca interdipendenza.

Ecco perché faccio mia, condividendola pienamente, l' opinione di Annibale Salsa: “Innovare in maniera sobria e rispettosa significa governare le spinte ai cambiamento, gestirle in modo da evitare che le voglie di nuovismo ad ogni costo possano generare sradicamenti territoriali o spaesamenti mentali".

Questa, e non altra, è anche la posizione dei CAI di oggi.

Col desiderio di poter trovare presto, all'ingresso di ciascun rifugio, il seguente messaggio: “Benvenuto! Apprezza quanto troverai e scopri di quante cose non avevi bisogno"

FEBBRAIO 2017 - Montagne360